Le fiere sulla Mixology: opportunità o spreco di tempo?

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Maggio è il mese delle due più importanti fiere sulla mixology in Italia.

Se parliamo di eventi dedicati verticalmente a questo argomento, credo non ci siano dubbi.

Dal momento che a ridosso di questo tipo di manifestazioni, si crea sempre una certa attesa sia da parte delle aziende espositrici, sia da parte dei visitatori, ho deciso di dedicare un articolo a questo argomento.

Vorrei aprire uno spazio di riflessione, per capire se tutto questo rappresenti per i soggetti coinvolti un’opportunità da non perdere o se, invece, al netto di una pur giustificata euforia, sia soltanto uno spreco di tempo (e di soldi).

Andiamo con ordine.

Partiamo da chi ci investe: le multinazionali, i produttori ed i brand che vanno ad esporre lo fanno per un ritorno economico. Più o meno immediato, ma rimane quello l’obiettivo legittimo a cui tendono.

Per questo motivo decidono di pagare quote di partecipazione agli organizzatori, trasferte ai dipendenti, oltre a svariate spese legate alla loro presenza.

Nelle principali fiere internazionali, chi espone ha un obiettivo primario, ovvero trovare nuovi importatori dei propri prodotti, cioè aziende disposte a vendere quei prodotti in altri Paesi.

A loro volta, i buyer esteri preferiscono le grandi fiere di respiro internazionale, per trovare in unico posto tutto quello che cercano per i loro cataloghi.

Al contrario, le fiere italiane – nonostante siano spesso impreziosite da numerosi ospiti internazionali – non hanno questo tipo di dimensione. Almeno, non ora.

Se parliamo di ciccia, hanno una portata molto più locale.

Gli stessi espositori puntano principalmente ad acquisire in modo diretto i contatti di clienti interessati ad utilizzare i loro prodotti.

In seconda battuta, c’è un’esigenza poco dichiarata pubblicamente, di partecipare per partecipare.

Proprio così.

Esserci per continuare ad essere visti e quindi rimanere nell’immaginario dei professionisti. Può sembrare un’estremizzazione, ma non lo è.

La domanda è se esserci tanto per esserci sia abbastanza per raggiungere lo scopo di essere ricordati e se valga il relativo esborso economico.

Sicuramente una vetrina è pur sempre una vetrina e per quanto i social possano servire bene questo tipo di ambizione, i prodotti vanno bevuti e pertanto la presenza fisica, in un modo o nell’altro, si rende in qualche misura necessaria per fissare il ricordo.

Probabilmente è il caso di domandarsi anche se per qualsiasi azienda valga lo stesso discorso, o se ci siano aziende in grado di trarre benefici maggiori rispetto ad altre nel partecipare-per-partecipare ad una fiera sulla mixology.

Mi spiego meglio.

Immagina di andare al mare con Matteo Berrettini e con David Beckham.

In spiaggia, probabilmente nessuno ti (ci) noterebbe neanche se ti presentassi con il costume di Batman.

Credo che uno dei punti sia proprio questo.

Le fiere sono aperte a tutti – esattamente come la spiagge – ma andarci non vuol dire automaticamente essere notati e tantomeno ricordati.

Ma veniamo ora ai professionisti che vanno alle fiere in qualità di visitatori.

Cosa li spinge davvero?

Il presupposto è che, anche da visitatore, la fiera non è un’ esperienza a costo zero, ma tutto sommato i prezzi sono ancora molto accessibili.

Al di là di questo aspetto, mi chiedo se andarci sia uno spreco di tempo o se, in fondo, sia un’esperienza che nasconda un valore di qualche tipo.

La risposta che mi sono dato in questi anni, da semplice visitatore, è che se è la ricerca di novità il motivo principale che spinge a presenziare, allora si rimane parecchio delusi.

Di innovazione, a mio avviso, in mezzo a quegli stand se ne vede davvero poca, a meno che non si consideri innovazione qualsiasi cosa appena messa in commercio.

Se invece si cambia punto di osservazione, allora il valore, a mio avviso, emerge.

Proprio così.

Le fiere italiane sulla mixology sono incredibili luoghi di connessione tra i membri della stessa community.

Spesso, chi partecipa, lo fa per sentirsi parte di qualcosa di più grande, non per tornare a casa con una lista di nuovi prodotti da acquistare.

In questo aspetto, che per alcuni potrà sembrare secondario e trascurabile, c’è il vero motivo che spinge migliaia di professionisti verso le fiere dedicate alla miscelazione.

Vogliamo metterci anche qui, un generico bisogno di presenziare per farlo sapere a colleghi e clienti?

Assolutamente sì, ma non a scapito di una reale esigenza di sentirsi dentro alla propria nicchia, professionale e non.

Public relations? Anche, ma credo ci sia qualcosa di più profondo.

In fondo, tutti cerchiamo di connetterci con persone simili a noi e per un bartender, a parte un altro bancone, c’è qualcosa di meglio di una fiera di settore?

Che ne pensi?

Se vuoi dire la tua su questo articolo puoi farlo sotto al post di Facebook sulla pagina di Cocktail Engineering oppure nel gruppo riservato (iscriviti qui!).

Buone fiere!
Pierpaolo

Autore

  • Pierpaolo Maggio

    Amo approfondire le cose. Ho una laurea in Giurisprudenza, una in Scienze dei Beni Culturali ed un Executive in Marketing alla Bocconi di Milano. Sono specializzato nel supportare la crescita di nuovi business: lo chiamano Growth Hacking e lo faccio per Vargros dal 2016. Nel 2020 sono entrato anche nel team di Giovanni Ceccarelli e di Drink Factory.

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