Capire l’Hard Shake

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hard shake

L’Hard Shake è una particolare tecnica per shakerare i drink inventata da Kazuo Uyeda, proprietario del Tender, cocktail bar in Ginza, Tokyo.

La prima volta che ho sentito parlare di Hard Shake è stato nel 2010 o 2011. In quegli anni, grazie a Stanislav Vadrna, Marian Beke e altri bartender di fama internazionale, si parlava molto di tecniche di miscelazione, in particolare giapponesi.

Oggigiorno si parla molto meno di questa tecnica, tuttavia molti bartender ancora la utilizzano.

In questo articolo vi spiegherò dettagliatamente che cos’è l’Hard Shake, quali sono i motivi che hanno portato Kazuo Uyeda a svilupparla e se effettivamente funziona.

Innanzitutto facciamo un piccolo passo indietro e ricapitoliamo a che cosa serve shakerare.

Perché si shakera?

Come avevo già scritto nell’articolo intitolato ‘Come e perché si shakera‘, shakerare serve a raffreddare, diluire e far entrare aria all’interno di un drink. Trovate anche la spiegazione della shakerata nel libro Miscelare (HOEPLI editore), che ho scritto insieme a Federico Mastellari.

Per quanto riguarda raffreddamento e diluizione la shakerata è una tecnica particolarmente efficiente rispetto ad altre tecniche perché in pochi secondi il drink raggiunge temperature molto basse (2-4 gradi sotto zero) e di conseguenza raggiunge anche la diluizione necessaria a diminuire il tenore alcolico. Vi ricordo che raffreddamento e diluizione vanno sempre di pari passo: non potete raffreddare senza diluire. Se volete approfondire questo discorso vi invito a leggere i miei articoli sul ghiaccio.

Invece, far entrare aria in un drink, ne modifica la consistenza o texture. Questo è particolarmente evidente in drink che contengono ingredienti schiumogeni come succo di ananas, panna, latte, albume d’uovo o aquafaba. In drink nei quali non sono presenti ingredienti schiumogeni l’aria esce molto velocemente, quindi shakerare un drink in questi casi serve solo a raffreddarlo e diluirlo rapidamente.

La shakerata può influire sul sapore del drink in qualche altro modo?

Probabilmente si, ma non lo sappiamo per certo e non possiamo quantificare o misurare questi cambiamenti come facciamo con raffreddamento, diluizione e texture. Per questo motivo è bene parlare in termini assoluti solo di ciò che possiamo effettivamente misurare e valutare oggettivamente. Per il resto, al momento, possiamo solo assaggiare e valutare ciò che ci piace di più, senza cercare di estrapolare dal nostro assaggio delle ‘verità’ sulla miscelazione: le variabili in gioco sono troppe.

Ora che abbiamo ricapitolato a che cosa serve, in generale, shakerare, possiamo tornare a parlare dell’Hard Shake, particolare shakerata inventata da Kazuo Uyeda.

L’Hard Shake secondo Kazuo Uyeda

Prima di tutto vi invito a guardar questo video dove è possibile vedere Kazuo Uyeda utilizzare l’Hard Shake.

cocktail-techniques-uyeda

Nel suo libro Cocktail Techniques, Uyeda ci spiega perché ha inventato questa shakerata così complessa, con quali drink ha senso utilizzarla e che risultato dobbiamo ottenere. Uyeda ci tiene a specificare che, nonostante il nome, l’Hard Shake non è una shakerata violenta, quanto difficile, perché i movimenti sono intricati.

Prima di commentare questa tecnica, vi riporto alcuni passaggi del libro.

Come è possibile leggere a pag. 23 del libro Cocktail Techniques, Uyeda, ci dice che ha iniziato a notare come le bolle che si formavano all’interno del drink durante la shakerata andavano a modificare il sapore del drink e quindi ha iniziato a modificare la sua tecnica di shakerata cercando di creare quante più bollicine possibile.

Per fare questo ha creato una shakerata dai movimenti complessi, che favorisse l’ingresso di aria nei drink e quindi la formazione delle bollicine. Per Uyeda queste bollicine sono molto importanti non solo perché  modificano la texture, ma anche perché attenuano anche la pungenza dell’alcol (su quest’ultimo passaggio non sono d’accordo).

Il caratteristico fine strato di ghiaccio che si forma sulla superficie dei drink preparati con questa tecnica non è lo scopo finale, ma una conseguenza. Lo scopo principale è l’ingresso di aria e la formazione delle bolle.

Ma quali sono i drink, sempre secondo Uyeda, che ha senso preparare con la tecnica dell’Hard Shake?

Uyeda non fa una lista di drink da preparare in Hard Shake, quanto una lista di ingredienti.

Continuando a leggere il libro, a pag. 24, c’è un intero paragrafo intitolato ‘Suitable ingredients’, ovvero quali sono gli ingredienti che rendono meglio se lavorati con l’Hard Shake. Tra gli ingredienti troviamo panna, succhi di frutta, albume d’uovo che, come già detto, sono quelli in grado di trattenere aria. Nello stesso paragrafo c’è un passaggio particolarmente interessante: con i drink composti solo da prodotti alcolici l’Hard Shake non è efficace perché l’aria tende ad uscire e le bollicine scompaiono troppo velocemente per essere apprezzate.

Ora che abbiamo capito perché Uyeda ha inventato l’Hard Shake e quali sono, secondo lui, i motivi che lo hanno portato a sviluppare questa tecnica, cerchiamo di capire insieme se effettivamente è una shakerata così diversa dalla classica.

L’Hard Shake funziona?

L’Hard Shake, essendo fondamentalmente una shakerata, per quanto intricata, funziona esattamente come funziona una shakerata classica. La potete tranquillamente utilizzare per raffreddare, diluire e far entrare aria all’interno dei drink.

Tuttavia non fa nulla di più di una normale shakerata.

Cerchiamo di capire perché.

Dal punto di vista del raffreddamento e diluizione non cambia nulla. Trattandosi sempre di ghiaccio, segue le stesse regole di cui ho parlato negli articoli sul ghiaccio e che ho ripreso all’inizio di questo articolo. Anche se il ghiaccio si rompe durante una shakerata non cambia nulla dal punto di vista della diluizione, soprattutto se si raggiunge la stessa temperatura finale del drink.

Due parole in più dobbiamo spenderle invece per quanto riguarda l’ingresso di aria nel drink, e quindi la formazione delle bollicine tanto cara all’inventore della tecnica.

shaker-3-pezzi-hard-shake

La particolarità di questa tecnica non risiede nel fatto che faccia entrare più aria in un drink, ma che sia in grado di far entrare aria in drink shakerati con lo shaker a 3 pezzi.

L’Hard Shake esiste SOLO nello shaker a 3 pezzi e ha senso SOLO nello shaker a 3 pezzi.

Come è noto lo shaker a 3 pezzi non è lo shaker più indicato per modificare la texture dei drink. Drink come i sour, che contengono albume d’uovo, non montano bene se shakerati in uno shaker a 3 pezzi pieno di ghiaccio.

Con l’Hard Shake il ghiaccio si muove molto all’interno del 3 pezzi, favorendo l’ingresso di aria in uno shaker che, per conformazione, non è il migliore per questo scopo. Tuttavia questo ingresso di aria non è per nulla diverso da quello che si può ottenere in un boston, in un parisienne o mettendo meno ghiaccio nel 3 pezzi.

Non illudetevi: se non ci sono ingredienti schiumogeni l’aria inglobata nei drink con la shakerata fuoriesce.

Una cosa che invece reputo più gradevole è lo strato di ghiaccio che si forma in superficie. Con boston o parisienne è difficile ottenere una granella così fine e uniforme. Chiaramente il problema non si pone se preferite filtrare anche con un colino conico (double strain).

Concludendo l’Hard Shake è sicuramente una tecnica interessante, utile esclusivamente se volete far entrare aria shakerando con un 3 pezzi pieno di ghiaccio. Dal punto di vista stilistico lascio giudicare a ciascuno di voi se piace o non piace: quella è una questione di gusti, nella quale non voglio addentrarmi.

Buona Miscelazione,
Giovanni

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Autore

  • Giovanni Ceccarelli

    Sono l'ideatore e coordinatore del blog e del progetto Cocktail Engineering. Per pagarmi gli studi universitari dal 2007 ho iniziato a lavorare come bartender in diversi locali tra Pesaro, Fano e la Riviera romagnola. Nel 2010 mi sono laureato in Ingegneria Energetica (ben presto ho capito che questa non era la mia strada). Dal 2011 sono docente in Drink Factory nei corsi di Miscelazione Avanzata e Preparazioni Home made. Dal 2013 al 2016 ho scritto di scienza e cocktail sulla rivista BarTales. Nel 2016 ho aperto questo blog e lavoro come consulente per Vargros per il quale seleziono spezie ed altri ingredienti.

Autore
Giovanni CeccarelliDivulgatore, docente, consulente
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