La fermentazione al bar: concetti base e applicazioni

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Ultimamente sentiamo spesso parlare di fermentazione e alimenti fermentati, comprese bevande, che suscitano grande interesse in molti chef e barman. In realtà i cibi fermentati fanno parte della nostra cultura gastronomica da moltissimo tempo, ma se n’è perso l’utilizzo principalmente a causa, o grazie, all’avvento del frigorifero domestico e della produzione industriale che, sterilizzando contenitori e alimenti, evita la presenza e la proliferazione di qualunque microrganismo. Infatti, questa tecnica era principalmente utilizzata come metodo di conservazione.

Negli ultimissimi anni invece c’è stata una riscoperta della fermentazione e degli alimenti fermentati. I motivi sono molteplici e per lo più legati alla volontà di volersi staccare dalle produzioni di massa, in scia a tutti i movimenti legati alla sostenibilità ambientale, il km0 e simili.

Il prodotto fermentato viene visto come un qualcosa di artigianale, fatto in casa (home-made) e quindi di qualità superiore.

Ma effettivamente cosa vuol dire che un alimento è fermentato? E soprattutto, che cosa cambia?

I cibi fermentati sono cibi che hanno subito una serie di trasformazioni principalmente a carico di batteri e lieviti, i quali hanno modificato la composizione chimica degli alimenti e del mezzo (liquido) in cui sono immersi.

Queste trasformazioni hanno 3 principali conseguenze:

  • Permettono di conservare i cibi a medio e lungo termine. Pensate al formaggio, ai salumi e alle verdure in salamoia: tutti fermentati per permetterne la conservazione. Il frigorifero e il supermercato non hanno sempre fatto parte della nostra quotidianità;
  • Sviluppano diversi composti che cambiano in parte il sapore degli alimenti;
  • Modificano la disponibilità di alcune sostanze presenti negli alimenti, migliorandone gli aspetti nutrizionali e salutistici. Non è un aspetto che approfondiremo in questo blog perché crediamo non sia inerente al mondo della miscelazione.

Tutte queste trasformazioni sono possibili grazie alla presenza di microorganismi “buoni”, che permettono di ottenere il risultato organolettico voluto e proteggono l’alimento fermentato da microrganismi che lo farebbero marcire o peggio ancora lo renderebbero pericoloso per la salute umana. I microrganismi “buoni” non si limitano a portare avanti le loro trasformazioni ma, cambiando alcuni parametri ambientali come il pH, e producendo alcune sostanze chiamate batteriocine, impediscono ai batteri “nocivi” di proliferare.

Dal nostro punto di vista, l’aspetto più importante ed interessante della fermentazione in ambito miscelazione e ristorazione è il secondo: una tecnica per ottenere sapori diversi ed unici. La fermentazione porta ad una maggiore varietà di molecole presenti, aumentando la complessità aromatica del cibo che si è deciso di fermentare, e quindi permettendo risultati unici.

La fermentazione è uno strumento formidabile nelle mani di quei barman e chef che si vogliono distinguere.

Ora che abbiamo capito a che cosa serve fermentare, proviamo a darne una definizione più tecnica.

La fermentazione è un processo biochimico, in condizioni di anaerobiosi (assenza di ossigeno) a carico di numerosi microorganismi, principalmente batteri e lieviti, che utilizzano zuccheri ed altre sostanze presenti negli alimenti per trarne energia, cioè per vivere. Tuttavia, questa definizione “biochimica” ci confina al mondo dell’assenza di ossigeno, escludendo alcuni processi a carico di specifici batteri che invece necessitano di ossigeno per avvenire, come la produzione di aceto.

D’ora in poi, amplieremo la definizione di fermentazione a tutti i processi di trasformazione di alimenti a carico di microorganismi, a prescindere che questi avvengano in condizioni di presenza o assenza di ossigeno. Si tratta di una piccola libertà linguistica che ci prendiamo per semplificare ed evitare di usare inutilmente troppi termini scientifici.

In generale, i batteri e lieviti che fermentano gli alimenti vengono chiamati fermenti, ma questo termine può essere ampliato anche agli enzimi che i microrganismi utilizzano nei processi biochimici, proteine specializzate nella trasformazione di determinate molecole. Spesso i singoli enzimi vengono isolati dall’uomo ed utilizzati per ottenere uno specifico risultato, senza l’implementazione dei microrganismi.

Quanti tipi di fermentazioni esistono?

In funzione dei microorganismi coinvolti nella fermentazione e dei prodotti finali, avremo diversi tipi di fermentazione, che prendono appunto il nome dalla sostanza più importante prodotta a conclusione del processo. I due tipi di fermentazione che maggiormente ci interessano sono la fermentazione lattica e la fermentazione alcolica. Esiste anche la fermentazione acetica che tuttavia tratteremo singolarmente.

La fermentazione lattica produrrà principalmente acido lattico, mentre la fermentazione alcolica produrrà alcol (principalmente etanolo). In entrambe le fermentazioni, solitamente si nota anche una produzione di anidride carbonica.

Anche all’interno della singola fermentazione lattica o alcolica possiamo avere risultati, quindi sapori, diversi fra loro, in funzione dei microorganismi maggiormente presenti.

Ma come facciamo a fare in modo che avvenga questa o quella fermentazione?

Come abbiamo detto, la fermentazione è un processo a carico di alcuni microrganismi. Quindi, se vogliamo che avvenga uno specifico tipo di fermentazione dovremo fare in modo che sia maggiormente presente quel particolare microrganismo che causa la fermantazione desiderata.

Per fare in modo che ciò avvenga ci sono due modi: o creo le condizioni ottimali per quel tipo di microrganismo a discapito degli altri oppure inoculo in maniera massiccia quel preciso batterio o lievito.

Il primo metodo prende il nome di fermentazione spontanea. Per ottenere una fermentazione spontanea è necessario creare le condizioni ideali per far proliferare solo i microrganismi voluti, già presenti nell’ambiente (eh sì, i microorganismi sono ovunque anche se non li vediamo!), in modo che questi abbiano un vantaggio nel proliferare rispetto agli altri. Una volta dato questo vantaggio, ci penseranno loro a rendere l’ambiente sempre più adatto alla loro proliferazione e inospitale per altri microrganismi.

Con il secondo metodo si ottiene lo stesso risultato ma si inoculano in massa i microrganismi desiderati. Questo darà loro un vantaggio numerico iniziale che gli permetterà di modificare l’ambiente a loro vantaggio. Questi batteri o lieviti selezionati prendono il nome di starter.

Adesso che sappiamo cosa vuol dire fermentazione e i principali aspetti, potremo approfondire in futuro i singoli processi fermentativi applicandoli ad alcune preparazioni.

Buona fermentazione a tutti,
Flavio Fermentalista

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Autore

  • Giovanni Ceccarelli

    Sono l'ideatore e coordinatore del blog e del progetto Cocktail Engineering. Per pagarmi gli studi universitari dal 2007 ho iniziato a lavorare come bartender in diversi locali tra Pesaro, Fano e la Riviera romagnola. Nel 2010 mi sono laureato in Ingegneria Energetica (ben presto ho capito che questa non era la mia strada). Dal 2011 sono docente in Drink Factory nei corsi di Miscelazione Avanzata e Preparazioni Home made. Dal 2013 al 2016 ho scritto di scienza e cocktail sulla rivista BarTales. Nel 2016 ho aperto questo blog e lavoro come consulente per Vargros per il quale seleziono spezie ed altri ingredienti.

Autore
Giovanni CeccarelliDivulgatore, docente, consulente
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